Washington (Usa) – Gli scorsi giorni il presidente Usa Donald Trump ha esternato l’ennesima proposta choc: imporre dazi del 100% sulle Barbie e su tutti i giocattoli prodotti da Mattel, se l’azienda dovesse decidere di produrre al di fuori degli Stati Uniti.
La dichiarazione prende le mosse da una dichiarazione del ceo di Mattel, Ynon Kreiz, che alla Cnbc aveva dichiarato di non avere alcune intenzione di spostare la produzione dei suoi giocattoli in America, pensando invece di diversificarla in altri Paesi, diversi dalla Cina: “Una parte significativa della nostra creazione di giocattoli avviene in America: progettazione, sviluppo, ingegnerizzazione del prodotto, gestione del marchio. Produrre in altri Paesi ci permette di creare prodotti di qualità a prezzi accessibili”.
Non si è fatta attendere la risposta di Trump: “Ho sentito [Mattel] dire: ‘Bene, andremo controcorrente, proveremo ad andare da qualche altra parte’. Va bene, lasciateli andare, applicheremo una tariffa del 100% sui loro giocattoli, e non ne venderanno nemmeno uno negli Stati Uniti, che è il loro mercato più grande”.
Non è la prima volta che il presidente Usa interviene sulla questione toys. La settimana scorsa aveva detto la sua sulla quantità di giocattoli che i bambini statunitensi dovrebbero possedere: “Non credo che una bella bambina di 11 anni abbia bisogno di 30 bambole. […] Forse i bambini avranno due bambole invece di 30. E forse le due bambole costeranno un paio di dollari in più del normale. Non è necessario che i bambini abbiano 250 matite. Possono averne cinque”.
Intanto, crescono le critiche, anche da parte di chi aveva sostenuto Trump in prima battuta. Come il miliardario Ken Griffin, che ha apertamente definito i dazi “una tassa dolorosamente regressiva, che colpirà più duramente le tasche dei lavoratori americani”, evidenziando come aprano le porte al “capitalismo clientelare”, in cui è il governo a decidere vincitori e vinti.