Dalle esperienze come insegnante all’attività di consulente educativa, fino al successo in Tv e sui social. In questa intervista esclusiva, Francesca Valla si racconta. Dando qualche suggerimento ai genitori… e anche alle aziende del settore del giocattolo.

“Ciò che mi ha spinto a scegliere quello che avrei poi fatto nella vita risale a quando ero molto piccola. Se ripenso alla mia infanzia, ricordo alcuni segnali che già mostravano un’iniziale propensione a prendermi cura degli altri. Ma è stato in prima elementare che ho capito di voler fare la maestra, e da quel momento in poi non ho più avuto dubbi”. Un’autentica vocazione, quella di Francesca Valla, anche conosciuta come ‘Tata Francesca’, per l’insegnamento e in generale per l’attenzione ai più piccoli e alle necessità delle famiglie. Tanto da diventare una vera e propria professione. Nota al grande pubblico soprattutto per la partecipazione al programma televisivo S.O.S. Tata, Francesca può contare su un curriculum lunghissimo, che parte e termina con la sua grande passione, l’insegnamento, ma che si sviluppa in parallelo attraverso tante altre attività. Dalla presenza in Tv in veste di counselor, agli incontri e convegni in tutta Italia, dalla scrittura di libri a un profilo social sempre più attivo e seguito. Da qualche tempo, tra i suoi moltissimi impegni, ha anche trovato il modo di collaborare con Assogiocattoli, per promuovere il gioco in tutte le sue mille sfaccettature. In questa intervista esclusiva con TG TuttoGiocattoli, Francesca si racconta. Dando anche qualche utile consiglio a genitori e aziende che vogliono arrivare dritto al cuore dei bambini.

Francesca, ci racconti del tuo percorso professionale?

Ho iniziato a insegnare giovanissima, con le prime supplenze, tant’è vero che sono 30 anni che faccio la maestra, non ho mai smesso. Ancora oggi, entrare in classe con i miei bambini e le mie bambine mi dà una grande energia, e mi consente di non perdere mai l’attenzione sulle loro necessità ed esigenze, sempre in continua evoluzione. Il fil rouge di tutti i miei anni di formazione sono stati i bambini, ho sempre imparato molto da loro. Oltre a questo, sono counselor professionista: offro consulenze alle famiglie in ambito educativo.

A un certo punto, però, sulla tua strada incroci il mondo della televisione…

Sì, sono stata chiamata per il casting della trasmissione Tv S.O.S Tata. Prima missione: Napoli. È stata un’esperienza meravigliosa, che mi ha permesso di entrare in dinamiche familiari particolari, spesso faticose. Poter comunicare queste realtà attraverso i media, utilizzarli a scopo educativo, è stata per me un’ottima scuola, e credo che il programma abbia anche lasciato ottime suggestioni alle famiglie stesse. Poi sono arrivati i social network. Inizialmente li guardavo con un certo scetticismo, perché ero e ancora sono legata agli incontri ‘dal vivo’: per tantissimi anni ho lavorato a stretto contatto con le persone, girando tutta l’Italia. Sono quindi approdata sui social piuttosto tardi, ma devo dire che col tempo è diventato un canale di comunicazione davvero efficace. Qui sono entrata in contatto con una community molto attiva di famiglie che si mettono in discussione, si confrontano tra di loro e con me su tante questioni e dinamiche relazionali. Poi è arrivata la pandemia…

E ha cambiato le regole del gioco?

Diciamo che ha intensificato la mia presenza online. Le dirette Instagram sono sbocciate proprio in quel periodo: non potendo più interagire con le persone dal vivo, ricevevo di continuo richieste di aiuto – anche un po’ disperate – di genitori che non sapevano gestire le emozioni dei più piccoli in un momento tanto delicato. A quel punto mi sono inventata uno spazio per i bambini e le bambine, in cui leggevo loro delle storie, perché è proprio attraverso il racconto che i piccoli esprimono le loro emozioni ed esorcizzano le paure. Ma in quelle occasioni spesso i genitori mi intercettavano e mi chiedevano: “Francesca, trova del tempo anche per noi!”. E così ho fatto. Mi sono buttata in questo nuovo progetto, questa volta dedicato alle mamme e ai papà, in cui leggevo in diretta i messaggi che ricevevo, e cercavo di rispondere alle varie domande con spunti e suggestioni.

Qual è stato il riscontro?

Devo dire molto positivo. La bellezza e la forza di questi incontri sta nella naturalezza con cui avvengono, senza imposizioni. È diventato uno spazio autentico e assolutamente non giudicante per tutti i suoi partecipanti. Si affrontano approcci educativi diversi, diverse metodologie. Non c’è mai un giusto o uno sbagliato, ma cerchiamo di capire insieme se una determinata scelta, alla fine, può andar bene anche per quel caso specifico. Questo perché non esiste un unico modo in cui fare il genitore, ognuno può e deve trovare la propria dimensione. Quello che si sta generando oggi è uno spazio aperto alle collaborazioni, è diventato per me una sorta di osservatorio delle famiglie, in cui studio e capisco continuamente cose nuove. Ho oltre 50mila follower: un bacino grandissimo di persone che continuano a darmi fiducia. È una bellissima responsabilità.

In tutto questo, come si inserisce la collaborazione con Assogiocattoli?

Quando ho avuto la fortuna di essere messa in contatto con la realtà di Assogiocattoli, è stato amore a prima vista. Perché abbiamo un comune denominatore: il benessere dei bambini e delle bambine, e da sempre questo benessere gira attorno al mondo del giocattoli. Così come da sempre il gioco è per me il punto di partenza e il punto di arrivo di qualsiasi percorso formativo per i più piccoli. Quando ero bambina pensavo sempre a quanto fosse bello giocare. Anche se ricordo ancora le sere d’estate passate nel mio quartiere a giocare a nascondino insieme ai miei genitori e a quelli degli altri bambini, spesso avevo la percezione di un mondo adulto molto serio. E mi dicevo: “Quando sarò grande, devo ricordarmi di non perdere l’incanto del gioco”. Una delle grandi difficoltà dei genitori di oggi è proprio quella di riuscire a giocare con i propri figli. A differenza di quanto accade in altri paesi, spesso i giocattoli vengono purtroppo impiegati come ‘parcheggio’ per far stare buoni i più piccoli.

Che consigli puoi dare ai genitori (ma anche a zii, amici e parenti) che vogliono partecipare attivamente al gioco?

Tantissimi genitori mi scrivono, alla ricerca di indicazioni su come fare a giocare. La risposta più semplice è la seguente: mettetevi in ascolto dei vostri bambini e delle vostre bambine, perché loro vi daranno tutte le indicazioni. Non esistono delle regole universali, ma se devo pensare a un qualcosa che può spingere un genitore a riconquistare la voglia di giocare, è certamente il tornare alla propria dimensione bambina. Possiamo riprendere in mano le nostre fotografie di quando eravamo piccoli, riguardare quelle in cui siamo stati ritratti in un momento di gioco. Possiamo anche pensare a che cosa ci piaceva giocare, e raccontarlo ai nostri bambini. Di solito i più piccoli restano incantati da queste storie. Questo è proprio il tipo di esperienza in grado di accenderci: tornare bambini è l’unico modo per ricominciare ad avere speranza per il futuro.

Occorre quindi ‘dimenticarsi di essere grandi’ e lasciarsi andare?

Lasciarsi andare… e divertirsi. Perché i bambini lo capiscono quando non sei coinvolto o partecipe nell’attività che state facendo insieme. Spesso e volentieri i genitori sono un po’ rigidi e impacciati. Sono molto rigorosi sulle regole, quando qui l’unica regola è sperimentare insieme. Dobbiamo creare una routine, dedicare al gioco un po’ di tempo ogni giorno, magari prolungando questo genere di attività durante il weekend. Creare dei rituali aiuta i genitori a recuperare per sé questo genere di spazio. Giocare insieme aiuta anche nella fase della preadolescenza e dell’adolescenza, magari per stemperare quelle tensioni frutto di questo particolare momento storico.

La pandemia non è certo stata d’aiuto alle emozioni nostri figli…

Ci ha portato via tantissimo. Ma è stato anche un momento di introspezione, in cui abbiamo capito che per stare bene in famiglia, schiacciati tra le quattro mura domestiche, era importante creare delle routine quotidiane alle quali magari non eravamo abituati, ma che diventavano occasioni per metabolizzare quello che stavamo vivendo. Durante la pandemia, giocare è stato più terapeutico che mai per i bambini. Ma lo stesso si può dire anche per i genitori, che hanno ripreso in mano le relazioni con i figli in maniera totalmente diversa. Vivere momenti di grande crisi, di grande fatica, ti aiuta a rimettere in ordine le cose. Dobbiamo rendere fecondo ciò che ci accade. Quello che consigliavo ai genitori in quelle occasioni era di trovare il tempo di fare cose insieme ai propri bambini.

Quali consigli puoi dare, invece, alle aziende, per promuovere e incoraggiare un gioco partecipativo e intergenerazionale?

Credo che sia importante trovare occasioni, spazi ed eventi dove le famiglie possano provare e sperimentare giochi nuovi, dove possano divertirsi. Mi riferisco a tutte quelle attività che incoraggiano il ritrovarsi in famiglia, che danno ai bambini la possibilità di giocare e conoscere qualcosa di nuovo. E poi apprezzo quando c’è un’attenzione ai reali bisogni dei più piccoli. Mi piace l’idea del brand o dell’azienda che vuole rispondere concretamente alle esigenze dei bambini e delle bambine, lasciando spazio, a un certo punto, anche alla noia. Non dobbiamo pensare di riempire le vite dei bambini con mille attività: l’importante è dar loro ciò di cui realmente hanno bisogno, che non necessariamente corrisponde alle loro richieste dirette. Perché è proprio nei momenti di vuoto che si generano nuove idee. E poi ci sono dei giochi dove a volte nasce anche il talento, dove il bambino giocando si incanta. Se davvero riuscissimo a lavorare sui talenti dei bambini, andremmo nella direzione del loro benessere. Il gioco stimola la mente e prepara a ciò che si diventerà da grandi. In generale, la cosa più importante è lasciare il bambino libero di giocare. Perché è in quel momento che scopre se stesso, le sue emozioni, e crea. Osservandolo, riusciamo a capire chi è oggi e chi potrebbe diventare domani.

(Annalisa Pozzoli)